Sfortunatamente per voi mi piace molto scrivere, per cui sono costretta a tormentarvi con i miei topic...
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Scherzo, volevo solo sapere che ne pensate di questo racconto, anzi, della sua parte iniziale...
La cosa più sorprendente della locanda è che ogni senso è pacificato. La vista allietata dal chiarore cromato delle lanterne, l’udito rapito dalle note scoppiettanti di una chitarra, l’odorato perso nel profumo di paprika e il gusto inebriato dalle pietanze piccanti ma vellutate. Se poi ci si accomoda su uno degli innumerevoli scranni di seta, allora si sprofonda nel paradiso del tatto. Qualunque nuovo viaggiatore rimarrebbe imbambolato per un paio d’ore a crogiolarsi nell’atmosfera soffusa, ma Furiae ci è abituata, e sale indifferente le decine di scalinate in quercia che si arrampicano sulla taverna. In verità quell’enorme fabbricato con migliaia di stanze, sale e corridoi sarebbe più un castello, ma per umiltà i proprietari la chiamano “L’Angolo dei Viandanti” dove tutti i viaggiatori, dal più squattrinato al miliardario, possono sostare in completa armonia. Persino un disorientato visitatore, nella notte più buia, potrebbe vedere la locanda, un cubo paffuto nel bel mezzo della palude, puntellato di luci, vessilli, e un centinaio di finestre da cui penzolano cascate di fiordalisi che s’intrecciano con i rami d’edera, mani avide e ossute che s’abbarbicano ai mattoni. Mattoni che Furiae pulisce ogni santo giorno aspettando la sera, unico momento di riposo da quella vita frenetica. La ragazza bussa impaziente ad un elegante portone intarsiato, premendo le nocche su un minuto arabesco. Odia con tutta la sua anima aspettare, odia dover sbucciarsi le mani a furia di bussare, e detesta quell’odore di cera che le tappa le narici. “Sì, sì, arrivo” Brontola una voce distante, frattanto che passi pesanti si avvicinano e la porta si spalanca. “Ma che ti prende?!” Furiae guarda sua madre con un largo, abnorme sospiro. “Sono stanca. E sono qui da tre ore”. La donna sbuffa ritirandosi nella stanza, farfugliando lamenti. La ragazza coglie solo le parole “esagerata” e “sfaticata”. Scrolla le spalle e si rintana in camera sua, chiudendo gli occhi. Non filtra una stilla di luce lunare dalle persiane, la stanza sembra imbevuta di pece ed estraniata dal mondo scalmanato che si agita là fuori. Ma non si godrà a lungo quella pace. Sua mamma la chiama per la cena e la giovane alza gli occhi al cielo, chiedendo perdono ai suoi muscoli sfibrati.
La cena è abbondante. Come lo è anche la colazione, il pranzo, la merenda e la serie di spuntini notturni che sua madre prepara di nascosto, troppo viziata per non cedere alla golosità; non c’è da stupirsi che abbia fame, dal momento che armeggia con salse e paste da mattina a sera, e tutto il giorno sbava dietro ad un piatto squisito che, purtroppo, è destinato ad un cliente. Lei la recluta un’assurda ingiustizia, mentre sua figlia Furiae e suo marito Ravi si sganasciano dalle risate; la sua è una famiglia allegra e forse nervosa, ma con tutto il lavoro che c’è da sbrigare è comprensibile. I suoi genitori sono proprietari di un quarto della locanda e la donna è addetta alla cucina più raffinata, destinata a nobili papille gustative.