non sono brava come shark, però dai ci provo anch'io!! XD
vi prego leggetelo anche se forse è un po' lunghino... ho bisogno di pareri...
uella casa.
Rimembranze di un’infanzia sbiadita, che come un’ombra si può cogliere solo con la coda dell’occhio.
Quella casa, circondata da un giardino quasi privo di piante. C’è solo qualche betulla, in un angolo, ad ombreggiare il vialetto appena fuori dell’alto muro. Poche aiuole secche ed avvizzite, che un tempo coloravano liete il prato vuoto, silenzioso. E quella bella statua coperta di muschio, attorno alla quale danzavano le lucciole, nelle tiepide sere estive.
Qualche passo sulla strada ghiaiosa, ed è possibile percepire il frullare d’ali delle libellule, sopra al laghetto con i pesci rossi, su cui anni prima volava placido l’airone che faceva tanto arrabbiare il proprietario mangiando i pesci.
La casa è visibile da ovunque, nel paese. Una costruzione antica, che getta la sua tranquilla ombra sulle altre abitazioni dall’alto della sua collinetta, e sovrasta il borgo con la mole imponente.
Guardata da lontano, può anche essere una vista piacevole. Ma qualche altro passo e ce la si trova di fronte in tutta la sua desolazione. La porta di legno scuro, decorata con semplici cornici quadrate, è ricoperta quasi del tutto da fitte ragnatele, e le finestre oscurate sembrano guardare i visitatori con rancore, le grondaie arrugginite che pendono instabili sui chiodi e l’intonaco scrostato che mette a nudo i mattoni rosso sangue.
La giovane donna fa qualche altro passo, raggiungendo le scale di marmo, scurite dal tempo, che portano all’ingresso. La chiave è in tasca, a fatica riesce ad infilarla nella serratura; infine uno scatto, e con un cigolio sinistro, la porta le apre la vista di ricordi dimenticati.
Un orologio a pendolo scandiva i secondi con ticchettii snervanti. Quel suono rimbombava per la casa nel silenzio più assoluto, la notte, come un cupo presagio. Una bambina correva per i corridoi, i riccioli castani legati in una coda e la gonnellina colorata che si muoveva veloce attorno alle gambe. In mano teneva un carillon, e cantava una canzoncina dolce sulla melodia che questo emetteva, volteggiando sui tappeti morbidi. La luce della luna illuminava la mobilia elegante e la bambina, che a dispetto dell’ora era sveglia come se fosse pomeriggio.
La nonna, la camicia da notte stropicciata e lo sguardo severo, la bloccò prima che arrivasse alle scale. Uno schiaffo, e di nuovo silenzio.
Solo il suono dell’orologio che, impassibile, continuava a battere il tempo.
La donna avanza verso il soggiorno. Con la mano spolvera l’interruttore della luce, ma non c’è corrente e si sente soltanto il tick della plastica.
La bambina detestava il salotto. Era sempre lì che si stipavano gli ospiti dei nonni, e non amava particolarmente quelle persone sempre pronte a fare commenti acidi e ad accarezzarla cinguettando quanto fosse cresciuta dall’ultima volta che si erano visti. Così lo evitava, quando le era possibile. Si rintanava nella sua stanza a giocare con le bambole, oppure saliva fino in soffitta, dove si addormentava tra gli scatoloni impolverati, facendo arrabbiare i nonni.
Si avvicina alle tende pesanti che coprono la finestra, i vetri rotti sparpagliati sul pavimento. Le apre con uno scatto, e la luce si riversa nella stanza, avvolgendo i divani, il tavolino, gli scaffali, il pianoforte.
Non le piaceva suonare. Ogni settimana arrivava quella brutta signora che cercava di insegnarle, a suon di bacchettate, la postura della mano e la lettura dello spartito. Si nascondeva spesso, quando doveva arrivare, chiudendosi nella cameretta, acquattandosi sotto il letto o dietro le tende finché, esasperati, i nonni salivano in camera sua e la trascinavano di peso.
Apre il coperchio dello strumento e sfiora i tasti con le dita lunghe. Ne schiaccia qualcuno, ed il suono che ne scaturisce risulta ovattato e stonato. Lo sguardo della donna si posa poi sulle scale che dal salotto arrivano fino al secondo piano, poi in soffitta. La ringhiera in ferro è arrugginita in più punti, e la lamina d’oro che la ricopriva ora cade in pezzi sugli scalini. I tacchi delle scarpe producono un rumore secco mentre, gradino per gradino, sale verso il piano superiore, una mano trascinata sul corrimano, inerte, l’altra stretta a pugno, nella tasca dei jeans.
La parete che fiancheggia la scala nella sua salita è tappezzata di quadri di ogni dimensione e forma. Sono vecchi ritratti o foto ingiallite, in cornici più o meno consumate, con i vetri coperti di polvere. Prestando attenzione a non farlo cadere, la donna ne prende uno ovale. La cornice è scheggiata in più punti, e non si riconosce il soggetto al di là dello strato di sporcizia. Lo pulisce con una mano, rivelando un busto di donna, sorridente, i capelli fermati sulla testa in una crocchia sobria. La foto in bianco e nero è sbiadita e stropicciata, ma si riconoscono ancora gli orecchini di gemme e l’elegante collana di perle scure. La donna rimette il quadretto al suo posto e ricomincia a salire. Il suo sguardo intanto vaga per gli altri ritratti; un uomo seduto con un fucile da caccia, i folti baffi che nascondono la bocca chiaramente tesa in un sorriso; una giovane coppia, la torre Eiffel alle spalle, una foto talmente vecchia e logora che, la donna ne è sicura, se la prendesse in mano si sgretolerebbe; un’immagine più recente, con una famiglia: sempre la stessa coppia, più vecchia, assieme ad una ragazza sui diciotto anni e due bambini sui sei.
In cima alla scala, l’ambiente è ancora più desolato. Nel corridoio, la carta da parati color crema si stacca dalle pareti, alcuni fogli sono già a terra. La porta che conduce al bagno si appende malferma su un solo cardine, ed all’interno i sanitari sono coperti alla meno peggio da teli di plastica.
La donna avanza ancora fino ad una porta dipinta di rosa; allunga la mano verso la maniglia ossidata.
Era il suo rifugio. La sera, la bambina amava chiudere bene la finestra e la porta ed accendere una candela, nonostante i nonni gliel’avessero proibito, giocando alle ombre cinesi. Era molto brava a fare il cane e l’aquila, ma per le altre aveva bisogno di faticare un po’ e di usare tanta fantasia. Ma le piaceva lo stesso. Il gradevole calore della candela dietro alle sue mani la aiutava a calmarsi.
Di giorno, poi, la cameretta diventava il miglior nascondiglio per sfuggire agli ospiti che sempre venivano in visita presso i nonni: lontani parenti, amici di famiglia, vecchie signore del villaggio…
La donna sfiora con un dito le lenzuola estive, ricamate con rose e viole dai colori smunti, il comodino di legno laccato di bianco, la lampada, le leggere tende candide alla finestra. Poi sembra come riscuotersi, e allontana la mano dalla polvere dell’arredo, che ricopre ogni cosa attorno a lei. Come colta da un attacco di panico, ripercorre veloce il corridoio e scende le scale, fino ad uscire all’aria fresca. Qualche lacrima le riga il volto.
Riprendendo fiato e raddrizzandosi nuovamente, si avvia verso il grande cancello di ferro battuto, semiaperto.
Dietro di lei, i suoi ricordi d’infanzia.