I Draghi nella storia
Come detto in precedenza, la figura del drago nelle zone occidentali era sinonimo di carestia, distruzione e morte.
In Europa i draghi erano simbolo di lotta, di violenza e di guerra: infatti la loro immagine veniva spesso utilizzata come araldo in battaglia; sono innumerevoli i riferimenti storici e le leggende legate ai draghi, la maggior parte dei quali risalenti al medioevo.
Moltissime sono le fonti storiche ed i manoscritti che testimoniano la presenza de "la bestia per eccellenza" nel vecchio continente.
Nei Bestiari ad esempio, ci sono descrizioni dettagliate sull'aspetto e sulle abitudini dei draghi, i quali erano soliti usare come tana, grotte in cima a montagne o in territori molto impervi da dove uscivano molto raramente; è anche noto che al solo ruggito del drago, tutti gli animali, compresi i leoni, correvano terrorizzati nelle loro tane.
Notate l'immagine qui a destra, è un drago che solleva da terra un elefante ed è tratta da un autentico Bestiario medievale.
Secondo la tradizione occidentale, l'estinzione dei draghi, risale proprio al medioevo dove, cavalieri erranti, avventurieri in cerca di gloria e cacciatori di draghi dedicavano la loro vita alla lotta contro queste bestie, decretandone lo sterminio. E' molto celebre la storia di San Giorgio (immagine qui sotto) l'uccisore di draghi.
Non ha bisogno di presentazione la ancestrale ed impari lotta dell'uomo contro il drago. Il drago come simbolo del Male in Europa dunque, per capirne il motivo basta ricordare i massacri e le carestie che portavano i draghi medievali al loro passaggio; quale migliore arma contro la manifestazione del male se non la Santità? Si pensi dunque alle leggende di San Marcello vescovo di Parigi, di San Romano e della Gargouille di Rouen, di San Silvestro che libera Roma dal drago dall' alito velenoso, che vive in una grotta profonda per accedere alla quale bisogna scendere centinaia di gradini...
Importante anche la storia di Santa Marta che sconfisse un drago chiamato Tarasca: la leggenda racconta che nei tempi in cui Santa Marta stava evangelizzando la Provenza, un terribile ed enorme drago chiamato “Tarasca”, devastasse le fertili pianure della valle del Rodano e impedisse agli uomini di vivere tranquilli in quei luoghi. La Santa, venuta a conoscenza del fatto, inseguì la bestia nelle profondità dei boschi e la domò cospargendola di Acqua Benedetta e segnandola con il Segno della Croce. Infine, mansueta e addomesticata, legò alla sua cintura la coda del mostro e lo portò nell’odierna città di Tarascona, che dal drago prese il nome. La popolazione si vendicò dei soprusi e delle barbarie lapidando il drago.
Da allora ogni 29 giugno la Chiesa ricorda Santa Marta e nella città di Tarascona si tiene una solenne processione aperta dal fantoccio dell’impressionante Tarasca con le fauci spalancate. Nei pressi una ragazza vestita di bianco benedice il mostro, che alla fine viene legato e sopraffatto.
Il più famoso Santo uccisore dei draghi è, naturalmente, Giorgio, Santo-soldato protettore dell’Inghilterra. Della sua storia si conosce ben poco: visse, nella zona di Diospolis, in Palestina; fu decapitato a Nicomedia per ordine di Daziano Preside, nell’ambito delle persecuzioni di Diocleziano, intorno all’anno 287. Nel XII secolo, importata dai Crociati, cominciò a circolare la leggenda secondo la quale San Giorgio, giunto a Silene (Libia) dalla Cappadocia, aveva ucciso un drago in procinto di divorare una principessa legata ad uno scoglio. Giorgio diventò l’uccisore di draghi per eccellenza, e fu adottato come patrono dell’Inghilterra da Edoardo III intorno al 1348. Il “Liber Notitiae Sanctorum Mediolanii” racconta che San Giorgio ha vissuto in Brianza, dalle parti di Asso. Un drago imperversava da Erba fino in Valassina, ammorbando l’aria con il suo fiato pestifero e facendo strage di armenti. Quando ebbe divorato tutte le pecore di Crevenna, la gente del paese cominciò a offrirgli come cibo i giovani del villaggio, i quali venivano estratti a sorte; il destino volle che tra le vittime designate vi fosse anche la principessa Cleodolinda di Morchiuso, fu lasciata legata presso una pianta di sambuco. San Giorgio giunse in suo soccorso dalla Valbrona, e, per ammansire la belva, le gettò tra le fauci alcuni dolcetti ricoperti con i petali dei fiori del sambuco. Il drago, docile come un cagnolino, seguì tranquillamente Giorgio fino al villaggio; qui, di fronte al castello, il Santo lo decapitò con un solo colpo di spada, e la testa del mostro rotolò fino al Lago di Pusiano. In ricordo dell’avvenimento, ancora oggi il 24 Aprile, giorno di San Giorgio, in Brianza si preparano i “Pan meitt de San Giorg”, dolci di farina gialla e bianca, latte, burro e fiori essiccati di sambuco. I Pan meitt si gustano tradizionalmente con la panna: per questo l’eroico San Giorgio, patrono dell’Inghilterra, dei militari, dei boy-scout e di Ferrara, è anche il protettore dei lattai lombardi, che un tempo tenevano in negozio un altarino a lui dedicato.
C'è anche un'altra leggenda che ci teniamo a citare, racconta l'impresa di Sant'Efflem.
Si narra che un principe avesse individuato la tana di un Drago che terrorizzava i suoi sudditi e in qualità di sovrano aveva il dovere morale di difenderli uccidendo o scacciando la bestia. Nella sua impresa chiese l'aiuto a Efflem, il parroco della sua città che a quel tempo ancora non era Santo, e i due si diressero insieme verso la tana del Drago per porre fine alle sue malefatte. Arrivati davanti la tana però il Principe si fece prendere da un profondo terrore, sentiva il respiro del Drago che da solo bastava a far tremare di paura qualsiasi uomo. A questo punto intervenne il Chierico che disse al Principe di non aver paura, perchè chi era sotto la benedizione di Dio non doveva temere nulla. Il Principe però era immobilizzato, allora Efflem dopo essersi fatto il segno della Croce entrò nella tana del Drago che quando lo vide non solo non riuscì ad attaccarlo, ma si precipitò fuori dalla tana, scappando lontano, fino ad arrivare sulle rive dell'oceano dove si racconta che vomitò sangue.
Questo mostra come il male (nel caso specifico il Drago) ha paura più dello scudo interiore di fede che non delle spade e delle armature!
Altre importanti storie sui draghi riguardano i paesi nordici; come omettere la leggenda di Beowulf?
Secoli fa, quando ancora gli eroi dominavano le terre del Nord, una figura vestita di stracci avanzava carponi lungo una spiaggia rocciosa della Scandinavia alla ricerca di una via per arrampicarsi sulla scogliera soprastante. Era uno schiavo che fuggiva dal suo padrone, un signore del regno dei Geat e, sebbene di lui non si sappia nemmeno il nome, le sue gesta epiche cambiarono il destino del suo popolo”. Nella prima parte della leggenda, lo schiavo vagando lungo la riva si imbatte in un enorme tumulo di pietre, forse tomba di un antico re. Trova l’entrata e penetra nel tumulo. “Si trovava in una stanza del tesoro, dove erano ammassate le ricchezze di una potente e sconosciuta tribù del passato. Braccialetti d’oro a forma di serpente, spille in filigrana d’argento, spade di ferro dall’impugnatura dorata, coppe in ceramica rossa di Samo, amuleti dell’antico dio Thor, monete luccicanti riempivano l’intera caverna. Stava già per avventarsi su quelle meraviglie, quando qualcosa gli gelò il sangue, bloccando ogni suo movimento”. Ed ecco apparire il drago. “avvolto in grandi spire, era acquattato sulle zampe dai lunghi artigli; i fianchi squamosi luccicavano, le ali membranose erano piegate, la grande testa riposava sul pavimento della caverna e le pesanti palpebre erano chiuse su occhi vecchi di secoli”. A questo punto lo schiavo non vuole altro che tornare dal suo padrone, così prende una coppa d’oro per farsi perdonare e fugge dal tumulo. “Quello schiavo, però, disturbando il guardiano del tesoro, aveva decretato la fine del suo popolo. Infatti il drago poteva vedere e sapere tutto, così, quando si risvegliò si accorse subito del furto commesso e avvertì immediatamente l’odore di carne mortale.
Lentamente, trascinò le proprie pesanti spire lungo lo stretto passaggio che conduceva fuori dalla sua tana e, alla luce ormai fioca della sera, osservò la landa desolata alla ricerca delle tracce lasciate dai piedi dell’intruso; appena ebbe trovato ciò che cercava, con un grido e un getto di fuoco, s’innalzò in volo, sbattendo le grandi ali verso il regno dei Geat. Sorvolò tutti i villaggi e le sue urla agghiaccianti fecero precipitare gli abitanti fuori dalle case, i volti cinerei levati verso il cielo; sopra di loro, il drago volteggiava in una danza di morte, lanciando il suo grido terrificante mentre iniziava la discesa.
I suoi colpi furono rapidi e terribili: sputando lingue di fuoco, investì i tetti delle case e scomparve in lontananza. In quella terra, tutte le abitazioni, anche quella del re, erano costruite in legno, canne e paglia, furono perciò facili bersagli per il fuoco del drago. In tutto il regno dei Geat, quella notte il cielo venne rischiarato da alte lingue di fuoco che si levavano dai villaggi, che bruciavano come pire funerarie.
Niente sfuggì alla furia del drago, e, quando giunse l’alba, le case dei Geat erano ridotte in cenere; dai villaggi si innalzavano sottili fili di fumo accompagnati dagli strazianti lamenti delle donne”. A questo punto il re dei Geat, il mitico Beowulf ma molto più anziano, si arma, si reca al tumulo del drago assieme ai suoi migliori combattenti e affronta il mostro. Solo uno dei compagni del re parteciperà allo scontro, il nobile Wiglaf, e così il re e il drago si uccideranno a vicenda.
Questo è un classico esempio di leggenda sui draghi, tanto più che in Scandinavia, attorno al 1000 a.C. (l’epoca descritta nella leggenda) ci fu un immane incendio, che sembrerebbe provare l’esistenza del drago. Tuttavia, analizzando la leggenda, si scoprono alcuni dettagli che potrebbero ribaltare la situazione e scambiare i ruoli di protagonista e antagonista.
Innanzitutto l’evento scatenante della vicenda: il furto della coppa d’oro. Come è chiaro, qui quello che subisce il sopruso è il drago, che, accortosi del furto, esce per riappropriarsi del manufatto e punisce gli uomini con l’incendio devastante, anche se con troppa severità… anche persone estranee al furto vengono coinvolte nella vendetta del Drago.
Nessuno dice che il leone è crudele perché uccide la gazzella. Può sembrare crudele, ma non lo è. Così è per il drago che, non dobbiamo dimenticarlo, non segue la logica umana. Per il drago della leggenda l’uomo ha commesso un torto, dunque l’uomo va punito. Può sembrarci ingiusto, ma come ci insegna Einstein tutto dipende dal punto di vista.
Nelle leggende mesopotamiche, si narra di due esseri primordiali: Apsu, spirito dell’acqua corrente e del vuoto, e Tiamat, spirito dell’acqua salmastra e del caos. L’aspetto di Tiamat era quello di una creatura fatta dall’unione di parti del corpo di tutte le creature che dovevano nascere: possedeva le fauci del coccodrillo, i denti del leone, le ali del pipistrello, le zampe della lucertola, gli artigli dell’aquila, il corpo del pitone e le corna del toro. Se formiamo un’immagine mentale di questa creatura, ci accorgeremo che risponde perfettamente alla nostra idea di drago.
Secondo la leggenda, dall’unione di Apsu e Tiamat nacquero gli dei, uno dei quali uccise il padre, Apsu. In preda a furia animalesca, Tiamat diede alla luce molti mostri, il cui compito sarebbe stato quello di perseguitare gli dei.
Per difendersi, gli dei nominarono campione Marduk, uno della loro razza; lo armarono con potenti armi e lo inviarono contro Tiamat. Marduk uccise la madre in un epico scontro, poi catturò i mostri da lei generati e li rinchiuse negli inferi.
Come si può ben vedere, anche in questa leggenda è il drago a subire un torto: in questo caso Tiamat perde il marito per causa dei suoi figli, e vuole punirli. Gli uomini di quei tempi, però, erano come bambini: ancora capaci di essere terrorizzati dalla furia degli elementi, di cui non concepivano le cause. Gli unici a ergersi tra loro e la potenza devastante della natura, incarnata nei draghi, si ergevano gli dei. E’ chiaro quindi che essi vedevano nel drago, ovvero Tiamat, il nemico e negli dei la salvezza.
Anche in Egitto, all’epoca dei Faraoni, c’era la credenza che ogni volta che Ra, il dio sole, “tramontava” entrava in realtà negli inferi, combatteva contro Apopi, il drago degli abissi, e usciva vittorioso. Questa è un’evoluzione del mito mesopotamico, e già comincia a delinearsi il pensiero del drago come essere malvagio e caotico.
Anche gli dei della Grecia combatterono contro un drago: era Tifone, ed aveva mille teste e un’immane bocca che vomitava fuoco e fiamme. Solo Zeus ebbe il coraggio di affrontare il mostro, definito Titano. Lo condusse fino oltre il mar ionio ed infine ebbe la meglio su di lui, scagliandogli contro un enorme macigno. Ma la leggenda vuole che Tifone non morì: continuò infatti a vomitare fuoco e fiamme da sotto il macigno, divenuto isola, e questa è la ragione delle eruzioni dell’Etna secondo i miti greci. Come si può vedere, già al tempo di Achille e Agamennone l’evoluzione del concetto di drago era compiuta: da madre primordiale e incontrollabile, fonte di vita e di morte, come era la Tiamat mesopotamica, si era ormai giunti al concetto odierno: il drago era un mostro terribile e incontrollato, che vomitava fuoco e vapori venefici, che distruggeva ogni cosa al suo passaggio (i tifoni hanno preso il nome proprio dal drago Tifone), che uccideva e terrorizzava le razze del mondo, perfino gli dei.
I Romani dipingevano sui loro stendardi i Dracones, i vichinghi chiamavano le loro imbarcazioni Drakkar, tutti nomi che indicavano la figura del drago.
I draghi “comuni”, invece, dovettero fin da subito lottare con grandi eroi. Riemersi dagli inferi al tempo degli antichi greci, dovettero subito battersi con eroi come Giasone, Ercole e addirittura con gli dei. A volte però le divinità li assoldavano come guardie di un particolare posto, o come creature da mandare in battaglia.
Con la caduta dei greci e l’avvento dell’Impero romano, di loro si perse quasi ogni notizia, salvo alcuni avvistamenti di Plinio il Vecchio. In Europa di loro si tornerà a parlare nel medioevo, specialmente nell’Alto medioevo, dove molti eroi inizieranno a cacciare i draghi, uccidendone la maggior parte e causandone l’estinzione. In tutti quegli anni però i draghi non erano scomparsi: essi si fecero vivi migrati a nord, e per secoli avevano devastato la Scandinavia e la Russia. Fu forse in quegli anni che le loro fila persero il maggior numero di draghi: infatti dal nord si levarono grandissimi eroi, come Beowulf, che ne uccisero moltissimi.
E proprio nelle lande del nord essi guadagneranno l’appellativo di malvagi e infidi: essi comparivano infatti all’improvviso, magari dopo essere cresciuti all’insaputa di tutti nell’umidità dei pozzi o nei pressi delle paludi.